Le poste sono gestite dai giudici
Il 92,5% degli utenti avrebbe uno sportello entro 3 km
Si fa un gran parlare di mercato, di efficienza, di aziende pubbliche slegate dalla politica. Poi, nei fatti, cosa succede? Il manager si siede al timone e se è bravo e autonomo presenta (come ogni amministratore delegato di una grande impresa privata) il suo piano per fare correre l'azienda nel migliore dei modi, magari evitando che essa continui a gravare sulla spesa pubblica.
Il piano incide su situazioni amorfe, sullo status quo, su abitudini cementate, su comode rendite di posizione. Apriti cielo. Protestano i politici, i sindacati, i Comuni e le Regioni, arrivano le interrogazioni parlamentari, i social network si riempiono di frasi incandescenti e, dulcis in fundo, arrivano i tribunali amministrativi a bloccare il piano. Il manager è cornuto e mazziato.
Teoria? Nossignore. È quanto sta succedendo, per esempio, alle Poste. L'amministratore delegato, Francesco Caio, è stato designato (da Matteo Renzi) col mandato di rendere più efficiente e meno costosa l'azienda, portandone poi una tranche a Piazza Affari. E lui si è messo diligentemente al lavoro e ha presentato un progetto quinquennale che punta sull'integrazione tra poste, comunicazione e logistica. È prevista la rimodulazione degli uffici postali, con la chiusura di 455 uffici sul territorio nazionale e la riduzione dell'orario di apertura in altri 608 (rimangono 13 mila sportelli), oltre a 20 mila prepensionamenti (quindi nessun licenziamento).
È scoppiato il terremoto (anche se le Poste assicurano che, a conclusione della riorganizzazione, il 92,49% della popolazione avrà comunque uno sportello entro 3 chilometri e il 98,65% entro 6 chilometri) e i giudici sono arrivati a sentenziare quali uffici possono essere chiusi e quali no. Come se toccasse alla magistratura e non al manager proporre e realizzare il piano aziendale. Il consiglio di Stato qualche settimana fa (sentenza numero 1262) ha deciso che Caio non può chiudere gli uffici postali nei piccoli centri se la scelta non viene adeguatamente motivata in relazione ai disagi che arreca. Era stato il sindaco di un piccolo Comune del salernitano ad opporsi alla chiusura e il consiglio di Stato gli ha dato ragione, ribaltando tra l'altro il giudizio di primo grado che invece era stato favorevole alle Poste. Anche il Tar del Lazio è intervenuto immobilizzando l'amministratore delegato: ha sancito l'illegittimità del piano «basato sulla redditività a scapito degli interessi degli utenti».
Ma al manager non era stato affidato l'incarico di rendere redditizia l'azienda per quotarla (parzialmente) in borsa? Il fatto è che anche il ciarliero Renzi in questa occasione non s'è fatto sentire, lasciando Caio al suo destino. Pure nel caso del Tar del Lazio a ricorrere ai giudici era stato un sindaco, quello del Comune di San Pietro in Guarano (Cosenza). E il Tar ha dato ragione al «suo» avvocato, Salvatore Alfano: «A livello europeo si è pacificamente riconosciuto che le reti postali, soprattutto in zone rurali e scarsamente popolate, soddisfano interessi pubblici rilevantissimi, consentendo l'integrazione degli operatori economici con l'economia globale, ponendosi come fondamentale baluardo della coesione sociale, per cui la loro presenza è più necessaria laddove, proprio per la scarsità degli abitanti, mancano altre reti infrastrutturali».
Infatti un altro problema è la mancanza di copertura web di una parte della Penisola, quella lontana dalle grandi città. Una carenza che rende almeno per ora improponibile la figura del postino telematico, che svolgerebbe l'attività degli uffici che l'azienda pensa di chiudere e girerebbe tra le case con un terminale portatile in grado anche di effettuare rimesse e pagamenti. Dice Emanuele Ramella Pralungo, sindaco di Occhieppo Superiore e presidente dell'ex- Provincia di Biella: «Il postino telematico può essere una soluzione per le grandi città, ma non per il nostro territorio che per gran parte è montano, quindi con zone dove spesso non c'è campo per i telefonini e c'è difficoltà a collegarsi alla rete per far funzionare il terminale».
Per il piano di Caio, un de profundis. Tanto che l'ad è stato costretto a sospenderlo poiché gli stavano piovendo addosso i ricorsi di tutti i sindaci coinvolti nel ridimensionamento degli sportelli. Perfino a «casa» di Renzi, a Firenze e in Toscana, c'è la rivolta contro di lui e il «suo» ad: i sindaci toscani, la Regione e l'Anci-Toscana hanno deciso di fare ricorso al Tar, tutti insieme, appassionatamente. Caio ha rimesso il piano nel cassetto e assicurato che tratterà con l'Anci, l'associazione dei sindaci. Intendiamoci, a volte può essere utile salvaguardare uno sportello disagevole ma il piano di queste emergenze va discusso col governo e non può essere frutto della pressione di sindaci, parlamentari del territorio, lobby varie o addirittura di giudici. Un manager deve potere realizzare il suo piano industriale e sarà valutato per i risultati.
Sul tavolo c'è una proposta dell'Anci: l'azienda mantenga il servizio attuale ricevendo in cambio la tesoreria dei Comuni. Un compromesso percorribile? Si vedrà. Ma se le Poste non si riformano, nel 2019 registreranno un margine operativo netto (ebit) negativo per 1,5 miliardi di euro nel segmento postale e commerciale. Un pezzo di finanziaria che sarà pagato da tutti i contribuenti. Non ci sono solo le Poste, anche l'Inps di Tito Boeri vuole chiudere uffici e nel mantovano stanno già preparando le barricate. Dice Stefano Turrin, sindacalista locale Cisl: «È un altro colpo. Nel giro di pochi anni abbiamo perso prima la conservatoria e il distaccamento del tribunale a Castiglione, poi le sedi dell'agenzia delle Entrate a Bozzolo e Viadana, la sede del giudice di pace di Gonzaga e quella di Viadana, la direzione della Motorizzazione civile .Non ne possiamo più».
È davvero difficile mettere mano alle aziende di Stato.
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