sabato 16 maggio 2015

Poste il punto della situazione

Il viceministro: «L’Italia rischia anche un’infrazione Ue»


La consultazione avviata dall’Agcom non salverà il piano strategico di Poste Italiane dagli strali della Commissione europea e, per evitare di provocare una maximulta che poi toccherebbe allo Stato pagare, Francesco Caio deve rivedere i suoi progetti. Ne è talmente convinto il viceministro della Giustizia Enrico Costa che ha deciso di dissociarsi dalla linea del governo, che finora ha appoggiato il progetto. «Il piano, presentato da Poste Italiane per recapitare la corrispondenza a giorni alterni e che l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha rimodulato impercettibilmente, espone il nostro Paese al rischio di una procedura d’infrazione da parte dell’Ue. Se approvato, patiremmo un taglio pesantissimo dei servizi in migliaia di piccoli centri, soprattutto in aree montane e con maggiori carenze infrastrutturali – dichiara – e per questo ho segnalato al presidente dell’Autorità, Angelo Marcello Cardani, le mie osservazioni fortemente critiche e ho riportato la questione al sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, facendomi portavoce delle preoccupazioni giunte da numerosi amministratori e tanti cittadini».



La proposta di Poste – riassume una nota diffusa dal viceministro – prevede di dimezzare la distribuzione della corrispondenza, da 10 a 5 giorni ogni due settimane, in 5.296 comuni (su un totale di 8.046), selezionati per densità abitativa. Primo, per numero di comuni interessati (901), è il Piemonte, seguito dalla Lombardia (542). 

L’Agcom, chiamata ad autorizzare il piano, in un documento sottoposto a consultazione pubblica (non vincolante per l’autorizzazione), ritiene che sussistano i requisiti per ben 4.721 comuni. Tali requisiti sono individuati sulla base della legge di stabilità 2015, che consente la deroga al principio di garanzia del servizio universale 5 giorni alla settimana, sancito da una direttiva europea, solo «in presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale e geografica in ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti/kmq e comunque fino a un massimo di un quarto della popolazione nazionale».


«Tali caratteristiche – osserva Costa – secondo Poste Italiane sono quelle del 65,8% dei comuni che l’Autorità, con un’insignificante limatura, riduce al 58,7%. Ciò è inaccettabile. Infatti, quale "particolarità di una situazione" o "eccezionalità di una condizione" può riguardare la grande maggioranza dei comuni sul territorio nazionale? La deroga diventerebbe normalità. Siamo di fronte a un dimezzamento selvaggio del servizio, una razionalizzazione priva di logica, che non può passare sotto silenzio. L’obiettivo del contenimento dei costi fa perdere di vista il problema di fondo: è sbagliato adottare il criterio della densità abitativa quale parametro principale per garantire i servizi. Si causerebbe una riduzione della consegna della corrispondenza in zone già poco servite dai sistemi infrastrutturali, mentre il tessuto sociale ed economico di quelle aree subirebbe un’ingiusta condanna alla marginalità. 

Che destino avrebbero, poi, tutti i giornali – quotidiani e settimanali – recapitati in abbonamento? Tutto ciò è inaccettabile, perché costituisce una minaccia al diritto di ciascuno a usufruire dei servizi universali». Considerazioni che la Commissione europea ha formalizzato all’Agcom, chiedendo il rispetto della disciplina comunitaria che non ha mai previsto deroghe come quelle concesse dalla Legge di Stabilità in quanto considera il servizio universale un diritto e non una semplice fornitura ed impegna a garantirlo concretamente con la consegna della corrispondenza nei cinque giorni lavorativi.


Giornali e lettori contro il piano delle Poste





Anche la Fieg boccia il piano strategico di Poste Italiane. Pollice verso, in particolare, sul dimezzamento del servizio di recapito della corrispondenza. Ieri, nel corso di un’audizione davanti all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) gli editori hanno definito «inaccettabile» la proposta di consegnare la corrispondenza - e con essa i giornali agli abbonati - a giorni alterni in 5.296 comuni, ovverossia il 25% del territorio nazionale. Una rivoluzione motivata dall’amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, con la necessità di ridurre i costi della società che in autunno dovrebbe affrontare la privatizzazione, con la cessione del 40% del capitale attualmente dello Stato. 



La Fieg ha risposto all’Agcom che il recapito a giorni alterni «rappresenta una palese violazione dei diritti di cittadinanza e del diritto all’informazione, negando l’accesso all’informazione quotidiana e penalizzando l’accesso all’informazione periodica ai cittadini di 5.296 (su 8.046) Comuni italiani». Un giudizio che fa riferimento al parere negativo già espresso della Commissione europea, la quale, individuando nel servizio universale un diritto dei cittadini europei e non un servizio economico, ha confermato l’obbligo di rispettare la consegna della posta nei cinque giorni lavorativi della settimana, con limitatissime possibilità di deroga.

Ora la Fieg insiste. E punta anche su un altro aspetto, lo stesso sottolineato nei giorni precedenti dalle delegazioni di Avvenire e della Fisc, la federazione dei settimanali diocesani: «La proposta di Poste – ha dichiarato Maurizio Costa, presidente della Federazione degli editori – è ancora più grave se si considera che in molti degli oltre 5mila comuni interessati il recapito postale costituisce l’unico mezzo di accesso alla stampa e negare ad un quarto dei cittadini italiani la possibilità di ricevere ogni giorno il proprio quotidiano e con tempestività il proprio periodico costituisce, oltre che un pesante e irreparabile danno per le imprese editrici, una lesione grave di un principio costituzionalmente garantito quale quello del diritto all’informazione». 

Concetti centrali anche nell’audizione individuale concessa alla delegazione della Nuova editoriale italiana - Avvenire, guidata dal direttore generale Paolo Nusiner, che si è tenuta davanti all’Agcom il 29 aprile, e in quella del 7 maggio, quando il presidente della FiscFrancesco Zanotti e la vice Chiara Genisio hanno spiegato che «è illusorio pensare che tutti gli italiani transitino al digitale solo perchè lo si vuole: in alcune zone del Paese, proprio quelle dove si vorrebbe diradare la consegna postale dei giornali, non arriva neanche il segnale per la trasmissione dei dati». 

Nel corso dell’audizione è emerso che l’istruttoria che ha preceduto le audizioni non aveva tenuto nel dovuto conto il servizio espletato dai settimanali diocesani e i funzionari dell’Autorità hanno chiesto alla Fisc una memoria aggiuntiva che sarà consegnata nei prossimi giorni e che andrà a rafforzare il dossier delle ragioni per cui il piano Caio va rivisto profondamente. Ad oggi, i soli settimanali diocesani veicolano attraverso Poste Italiane da 400 a 600mila copie, che "viaggiano" nel canale dei quotidiani e sarebbero quindi soggette agli stessi tagli. «Noi serviamo molti territori con meno di 30mila abitanti e con una densità inferiore ai 200 per chilometro quadrato, quelli minacciati dalla revisione del servizio universale» ha confermato Zanotti.

Preoccupazioni condivise dalla Fieg che si appella all’Agcom affinchè non autorizzi l’attuazione del modello proposto «che costituisce una palese violazione della direttiva europea sul mercato dei servizi postali che prescrive la distribuzione a domicilio della posta, e quindi dei giornali agli abbonati, almeno cinque giorni lavorativi a settimana» come sottolinea una nota diffusa a fine audizione. «In tale contesto è pretestuoso considerare la scelta di un quarto dei cittadini di vivere nei 5.296 comuni individuati da Poste una "circostanza o condizione geografica eccezionale", tale da consentire di derogare al principio garantito dalla direttiva europea» sottolineano gli editori, riferendosi a una delle motivazioni indicate da Poste Italiane per ottenere il via libera al piano di riorganizzazione del servizio.

«Renzi si occupi delle Poste»


«Il governo Renzi accenda i riflettori su Poste Italiane: non riuscirà mai a vendere il 40% della società se gli scoppierà in mano la protesta dei portalettere. Questa è un’azienda che ha fatto l’Italia ma può anche disfarla: se Poste Italiane perde il rapporto con i cittadini cui consegna ogni giorno lettere e giornali il suo brand sul mercato non vale più nulla» Non è uno che le manda a dire Mario Petitto, calabrese trapiantato a Cuneo: cioccolato e ’nduja, sindacalista vecchio stampo, capace di accompagnare una ristrutturazione aziendale attraverso i sentieri più dolorosi ma anche di bruciarti senza esitazioni un piano industriale come quello presentato a fine anno da Francesco Caio, Ad di Poste Italiane, che prevede migliaia di esodi incentivati, un taglio lineare del servizio universale e la consegna della corrispondenza a giorni alterni. Bruxelles ha già detto no. L’Agcom ni. In alcune regioni, il sindacato ha proclamato lo sciopero degli straordinari. Petitto rappresenta il 53% di tutti i lavoratori postali che hanno una tessera in tasca, ha guidato il Slp-Cisl per anni e ora affianca Annamaria Furlan nella gestione della Federazione dei postali.

Perché vi siete scontrati con Caio?
L’ingegner Caio parte da una considerazione politica: vuole gestire l’azienda a prescindere dalle forze sociali. Peccato che lui non sia un politico ma un manager e che non si sia mai vista la ristrutturazione "in solitaria" di una società come le Poste. Eppoi, numeri non lo aiutano: la gestione Sarmi ci ha lasciati con un miliardo di utile e Caio l’ha portato a 200 milioni, i volumi sono crollati e la sicurezza del lavoro anche. 

Non ritiene che Poste Italiane abbia bisogno di essere riorganizzata?
È quello che chiediamo ed è bene che si sappia che l’errore del piano industriale è esattamente quello di anticipare i tagli al personale e ai servizi prima dell’adozione di un nuovo modello organizzativo. In pratica, si postula che si deve introdurre la consegna a giorni alterni al 25% della popolazione perché gli italiani "dovranno" diventare tutti digitali e allora si tagliano portalettere e uffici postali; mentre nel 2014 la consegna della posta ha perso 600 milioni, si parla tanto del postino digitale senza ricordare che le strumentazioni in dotazione sono obsolete e che gli appalti tardano a partire, non si è fatta formazione e mancano le procedure. 

Cosa pensa della scelta di consegnare la posta a giorni alterni?
È un’opzione sul tavolo da anni ma confligge con il ruolo sociale delle Poste. Una cosa è prendere atto che alcune località non riescono a essere servite quotidianamente, un’altra è smobilitare il servizio universale. Eventualità peraltro esclusa dalla Comunità europea, per fortuna. Già adesso, quando i cittadini si lamentano di ricevere il giornale in ritardo, non sanno che la nostra produttività è calcolata in base al volume di corrispondenza e che se questa cala si aumentano i chilometri del percorso che deve compiere il portalettere. Il quale, se si trova a servire un’area di settanta chilometri al giorno… fa quel che può! Il punto è che non è accettabile trasformare l’emergenza in norma e ratificare che il diritto al recapito della corrispondenza è solo sulla carta: significa vanificare il diritto all’informazione.

Caio vi considera un freno alla produttività?
È ora di finirla di dire che il sindacato è un freno, che le Poste sono uno stipendificio e altre amenità. Noi siamo forze sociali che difendono i lavoratori: ci preoccupiamo del futuro di 145mila dipendenti ma anche degli utenti che sono il loro mercato. Sono anni che collaboriamo alla riorganizzazione: quando eravamo statali i dipendenti erano 220mila e ancora oggi incoraggiamo i dipendenti più anziani in servizio a darsi una mossa, ad affrontare con entusiasmo i percorsi formativi, a non aver paura delle innovazioni. Ma gli italiani devono sapere che sugli impiegati delle Poste è piovuta una serie di adempimenti cui non erano preparati e che comportano responsabilità tali che ad ogni errore oggi si viene licenziati. Così come devono sapere che 45mila dipendenti sono giovani ed entusiasti. Abbandoniamo gli stereotipi.

Cosa pensa della privatizzazione?
Senza il percorso non esiste la méta.

Sindacalese?
Va bene, siamo più chiari: chi comprerà il 40% di una società che oggi perde soldi e che affronta la riorganizzazione tagliando i servizi che l’hanno resa forte e autorevole - facendone il volto dello Stato italiano sul territorio - e dichiarando guerra ai sindacati? Etihad ha preteso l’accordo con i sindacati per prendersi Alitalia. Per chi investe, il fattore umano è la prima risorsa: non a caso la privatizzazione delle poste britanniche è iniziata con una cessione di quote (gratuita) ai lavoratori; ci piacerebbe che in Italia si arrivasse a coinvolgere i dipendenti nella governance aziendale. Ma questo management ha idee diverse e io chiedo: sono le stesse idee della proprietà?

www.avvenire.it

Poste, Fieg: "Agcom dica no a consegna giornali a giorni alterni in 5.296 Comuni"

ROMA - "L'Agcom dica no alla proposta di Poste Italiane di recapitare la corrispondenza, e con essa i giornali agli abbonati, a giorni alterni in 5.296 Comuni, perché inaccettabile. Rappresenta, infatti, una palese violazione dei diritti di cittadinanza e del diritto all'informazione, negando l'accesso all'informazione quotidiana e penalizzando l'accesso all'informazione periodica ai cittadini di 5.296 (su 8.046) Comuni italiani". E' quanto hanno sostenuto gli editori della Fieg nel corso dell'audizione svolta stamani presso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell'ambito della consultazione pubblica sull'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni della corrispondenza avanzato da Poste Italiane.


"La proposta di Poste - ha dichiarato Maurizio Costa, presidente della Fieg -  è ancora più grave se si considera che in molti degli oltre 5mila Comuni interessati il recapito postale costituisce l'unico mezzo di accesso alla stampa. Negare ad un quarto dei cittadini italiani la possibilità di ricevere ogni giorno il proprio quotidiano e con tempestività il proprio periodico costituisce, oltre che un pesante e irreparabile danno per le imprese editrici, una lesione grave di un principio costituzionalmente garantito quale quello del diritto all'informazione".

Gli editori si appellano dunque all'Agcom "affinché non autorizzi l'attuazione del modello proposto che costituisce una palese violazione della direttiva europea sul mercato dei servizi postali che prescrive la distribuzione a domicilio della posta, e quindi dei giornali agli abbonati, almeno cinque giorni lavorativi a settimana. In tale contesto è pretestuoso considerare la scelta di un quarto dei cittadini di vivere nei 5.296 Comuni individuati da poste una circostanza o condizione geografica eccezionale tale da consentire di derogare al principio garantito dalla direttiva europea".

www.repubblica.it

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